Condividi
Facebook
Twitter
LinkedIn
Ingegnere
Residente in Liguria, ma con un pezzo di cuore nel Salento
Marito, padre, amico e molto, molto di piu’…
1. Parlaci del tuo lavoro. Cosa fai nel dettaglio? Che studi hai fatto e quanta “gavetta” hai dovuto fare?
“Io sono un ingegnere atipico”, come sostiene il 90% degli ingegneri che conosco. Se esistesse un albo separato all’interno dell’ordine, sarebbe affollato! In realtà, e lo dico solo per distinguermi, sono un tipico ingegnere… nel mio lavoro mi occupo di cose normali, tipo dimensionamento di strutture, ma anche di cose più particolari che assomigliano un po’ a quello che si vede in Tv su programmi tipo “Megastrutture”. Nello specifico mi occupo, per conto di un grande gruppo di costruzione navale, di spostare oggetti che pesano fino a centinaia di tonnellate, anche se, di fatto, faccio fatica a spostare i miei 100kg dalla sedia dell’ufficio alla piscina/palestra…la cosa più particolare di questa parte del mio lavoro sta nel vedere delle strutture dalle dimensioni simili a un edificio di 3-4 piani volare in aria per essere posizionate a 15 m di altezza. Mi impressiona ogni volta, nonostante lo faccia da 12anni. Ho avuto tante esperienze lavorative particolari, dopo la laurea in ingegneria civile, la proposta di un paio di dottorati (rifiutati entrambi, il primo perché non avevo voglia di dare un’accelerata al mio percorso studentesco ed il secondo perché, a due mesi dalla laurea, mi era già arrivata una proposta di lavoro interessante che mi ha impegnato nei due anni successivi).
Gavetta ne ho fatta tanta, tantissima. Ne sto ancora facendo e ne farò ancora, perché l’errore più comune, ma penso che valga anche in altri campi lavorativi, è di pensare di essere “arrivati”. Oggi posso permettermi di interloquire a tutti i livelli senza il timore reverenziale di un tempo, i capelli e la barba grigi mi aiutano, anche se conservo sempre un profilo basso nei confronti di chiunque poiché ritengo che chiunque abbia qualcosa da raccontare ed insegnare.
2. Se non fossi diventato ingegnere, che lavoro avresti voluto fare?
Il ballerino classico. Non è vero, da bambino volevo fare il dottore, senza nessuna specializzazione, forse anche solo per il fatto che il mio papà, che lavorava all’interno dell’ospedale, ogni tanto partiva per andare al lavoro e poi ci telefonava per dire che si era ricoverato a causa uno dei suoi piccoli e grandi problemi di salute. Era una routine ed io guardavo e stimavo questi medici che curavano il mio papà e quindi segretamente speravo di poter diventare come loro. Poi crescendo, in balia delle tante piccole decisioni che ti portano alle grandi scelte, in un ventaglio di opzioni che sono parte integrante della vita, ho intrapreso gli studi tecnici frequentando la scuola professionale per geometri della mia città, con l’idea di diventare architetto. Infine la mia passione per il disegno tecnico e artistico ha ceduto al fuoco della sfida che mi ha portato a diventare ingegnere seguendo un percorso simile a quello che sognavo per me, ma più complesso.
3. Quali sono gli aspetti più belli e quelli più brutti del tuo lavoro?
Prima gli aspetti più brutti, legati, prevalentemente alla routine, alla noia e alla burocrazia. Ma amo troppo il mio lavoro per criticarlo aspramente. Gli aspetti più belli, invece, vanno cercati e si trovano in quella che è l’essenza, per me, dell’essere ingegnere, ovvero la capacità di semplificare sistemi complessi, affrontarli capirli e risolverli, senza perdere in sicurezza. Sembra poco, ma per l’ingegnere tutto acquisisce una forma, quasi scheletrica, non si ragiona in termini globali d’insieme, ma riducendo il problema ai minimi termini. La conseguenza, di una buona progettazione è anche l’estetica gradevole che appaga l’occhio e che si trova imponente in tanti lavori di illustri colleghi anche del passato. Poi dopo tutto questo gran ragionare si finisce con l’inciamparsi nei lacci delle scarpe.
4. Quale è l’edificio che più ti affascina al mondo, dal punto di vista architettonico?
Ce ne sono tanti, ma uno in particolare, La Caixa forum di Herzog & De Meuron di Madrid che ho visto in un viaggio. È un progetto che avrei voluto tanto sviluppare io. Una ristrutturazione di una vecchia fabbrica in classici mattoni rossi, alla quale hanno aggiunto qualcosa di audace visto di rado, tutto il piano terra è stato eliminato creando un edificio che apparentemente fluttua nell’aria. In verità, come una specie di Frankenstein, il piano è stato sostituito da una struttura portante in acciaio sottile in grado di appoggiare in soli due punti come due tronchi d’albero che sorreggono il peso dell’edificio. Affascinante l’audacia ed il coraggio del progetto. Questo edificio raccoglie in sé ogni dettaglio del mio lavoro, heavylift engineering e strutture con un forte occhiolino al rinnovamento di ciò che per necessità deve essere conservato. Amo tutti i lavori di Zaha Hadid che ci ha lasciato troppo presto, una donna che è riuscita a competere e primeggiare in un mondo sessista e prevalentemente maschilista come quello dell’architettura. Invece odio e non riesco a capacitarmi della continua ricerca nel superamento dei limiti fisici con torri di altezza estrema, trovo che questa continua evoluzione possa portare inevitabilmente ad una catastrofe in una trasposizione del principio di indeterminazione di Heisenberg. Prima o poi questi sistemi collasseranno su se stessi… e probabilmente ne piangeremo le vittime.
5. Quale è stata la tua più grande soddisfazione sul lavoro? Ed il momento più duro?
Ho avuto tante soddisfazioni, ma ricordo la prima in assoluto. Avevo 32 anni ed ero completamente incosciente. Ho avuto la fortuna di lavorare su una delle strutture più grandi di Genova, l’Albergo dei Poveri ed ho avuto l’appoggio e la fiducia di un grande architetto divulgatore, un mentore per molti, Enrico Davide Bona. Allievo di Mangiarotti e amico di Le Corbusier. In questo enorme edificio ho dimensionato strutture di ogni genere ma la più audace è sicuramente il 236 ovvero la biblioteca. Una struttura completamente appesa alle pareti dell’edificio all’interno di una stanza gigantesca. Un solaio a forma di biscotto di 30mx6m. Nessuno credeva che una struttura del genere potesse essere realizzata e conseguentemente nessuno ha avuto il coraggio di partecipare alle prove di carico sugli ancoraggi alle pareti principali dell’edificio. Momento fondamentale per la buona riuscita del progetto. L’impresa, la direzione lavori e i rappresentanti dell’università (committenti) si sono dileguati. Ricordo di essere rimasto lì a guardare con Enrico un passo dietro a me mentre i martinetti tiravano gli ancoraggi. Tutto bene ovviamente altrimenti non sarei qui a raccontarlo…e fu un successo. Ricordo lo sguardo soddisfatto dell’architetto Bona, mi sono sentito orgoglioso della stima e della fiducia che quell’uomo mi stava dando in quel preciso momento. Il periodo peggiore invece è durato ben 3 anni dal 2012 al 2015 periodo nel quale per motivi legati alla crisi mondiale ho perso tutto quello che avevo costruito negli anni precedenti. La vita mi ha dato un schiaffo in pieno viso, ma mi ha anche dato nello stesso momento una cura Sebastiano Anita e Piera che insieme a Vera, mia moglie, sono stati la ragione per andare avanti.
6. Se chiudi gli occhi e pensi alla tua infanzia, quali rumori e profumi ti vengono alla mente?
Questa è una domanda con un tranello. La risposta è per me ovvia. Se chiudo gli occhi non posso che tornare indietro alla mia infanzia, alla spensieratezza delle mie estati in Salento, quando non avevo niente, ma avevo tutto. I viaggi interminabili in macchina, mio padre che caricava l’auto all’inverosimile, con oggetti che sparivano qui per riapparire a 1000km di distanza trovando una nuova vita (pressoché infinita perché sono ancora lì), come nei racconti comici di Franco Nero, dove la misura del limite di carico non stava nelle dimensioni del bagaglio ma nella distanza libera fra ruota e passaruota. Quando torno in Salento respiro due volte, la prima per sentire l’odore della terra rossa, la seconda per quello del mare. E mi sembra di tornare di nuovo in quegli anni. Per me il Salento, oltre a contenere tutte le mie radici, è anche una forma di confronto, un luogo introspettivo dove nel reiterare l’incontro analizzo chi sono, cosa ho fatto, cosa sono diventato e gli obiettivi del futuro. Ognuno di noi ha un luogo simile. Lì c’erano tutti, nonni, zii, cugini… da lì ho preso tutto e sulla pelle ne ho ancora le cicatrici, tantissime, di cui potrei raccontare tutto, come nelle pagine di un libro.
7. Quando è stata l’ultima volta in cui ti sei sentito una persona fortunata?
Oggi, sono sempre stato fortunato e sono anche sempre stato sfortunato. Fortuna e sfortuna per me sono il completamento una dell’altra, un equilibrio di situazioni. Ho passato una vita a non gioire troppo, c’è chi direbbe che ho avuto sempre Saturno contro. Questo credo che significhi che ogni successo raggiunto ha presentato un conto salato o molto più semplicemente una difficoltà eccessiva nel raggiungimento. Per questo stesso motivo ogni meta raggiunta è stata un traguardo felice. La cosa più bella che mi è accaduta risale al 2012, anno terribile, ma come anticipato anno in cui sono arrivati i due gemelli diversi di casa Piera e Sebastiano sette anni e mezzo di differenza, Piera affidata a noi e Sebastiano dalla pancia di Vera… insieme hanno trasformato la vita mia e di mia moglie. Sono stati quel raggio di sole che buca le nuvole dopo giorni e giorni di pioggia. Poi nel 2015 è arrivata Anita, inaspettata, una bellissima sorpresa che ci ha costretto a riprogrammare nuovamente la nostra vita. Mi limito solo a dire che sono tre ragazzi speciali, che sono felice di vedere crescere.
8. Cosa ti piacerebbe che i tuoi figli avessero preso da te?
Sicuramente la curiosità verso il mondo. Io continuo a stupirmi di tutto ciò che mi circonda. In un certo senso sono affamato di curiosità. Ricordo sempre quello che mi disse la mia maestra delle elementari:” Ricordati di essere sempre curioso e non aver paura di chiedere!” La curiosità costringe la mente in uno stato di continua ricerca di informazioni che ti migliorano giorno dopo giorno.
9. Cosa ti fa più paura nella vita?
Ho paura di perdere tutto quello che ho, non i beni materiali quelli vanno e vengono, ma la mia famiglia. O meglio, la serenità della mia famiglia.
10. Le 3 canzoni preferite?
Linger – the Cranberries mi ricorda il primo bacio sul tetto della casa di un amico a guardar le stelle di San Lorenzo in Salento (mia moglie non se la prenda);
Valvonauta dei Verdena questa è la personalissima espressione canora del duo Vera – Fabio cantata a squarciagola in macchina;
Don Pizzica – Officina zoé colonna sonora di sangue vivo nonché il mio alter ego musicale. Questa canzone raccoglie tutto me stesso.
Sono le canzoni per me più evocative… poi la playlist in realtà è enormemente più lunga, ma me ne hai chieste solo tre…
11. La vita è fatta di ricordi, di sensazioni. Un momento emozionante che ti piacerebbe condividere e che ti ha cambiato la vita e ricorderai per sempre?
Vorrei non rispondere perché fa male sempre un po’. La telefonata dell’ospedale alle 6 di mattina del 28 marzo del 2002 quando dopo una settimana di coma mi veniva detto che mio padre non c’era più. Lì è cambiato tutto. È stata la prima volta in cui mi sono reso conto che non si può tornare indietro. Bisognerebbe avere il libretto di istruzioni della vita per non fare errori invece si commettono quelli più banali come per esempio non comunicare, ricordo che il primo pensiero è stato quello di non aver parlato a sufficienza con mio padre e che se ne era andato in un momento di non completezza. Mancava tutto la laurea, il matrimonio, i figli….
12. Se potessi essere il personaggio di un film, chi vorresti essere?
William Tacker (Hugh Grant) in Notting Hill. È uno dei miei film preferiti e il protagonista è caratterizzato molto bene dall’attore, ironico, genuino e sincero.
13. Cosa ne pensi dell’attuale situazione politica italiana?
Penso che la politica stia cercando di rientrare a fare parte di questo paese, ma credo sia impossibilitata a causa di una lingua non chiara come l’italiano che nelle sue diverse accezioni risulta spesso incomprensibile.
14. In cosa sei cambiato rispetto a quando avevi 20 anni e cosa è rimasto del Fabio ragazzino in te oggi?
Probabilmente sono la cosa più lontana da quel ragazzo, gli impegni del lavoro, le difficoltà della vita in generale, il nervosismo, ti fanno dimenticare molto di quello che sei e soprattutto di quello che eri. Una cosa su tutte però è rimasta. L’ironia in genere e soprattutto l’autoironia…originariamente un po’ stupidina, diventata poi più matura, anche perché credo che non ci si debba prendere mai troppo sul serio.
15. Un argomento che inspiegabilmente ti affascina ed uno che ti annoia?
Sono fortemente attratto dalle storie di vita, quelle ricche di particolari, di colpi di scena. Mi piace ascoltare i racconti delle persone che incontro e che per motivi diversi attirano la mia attenzione. É bello sentire parlare le persone. Tutti hanno qualcosa da raccontare, qualcosa di speciale ed unico, questi racconti mi aiutano ad esorcizzare le paure. Mi annoia dover ripetere sempre le stesse azioni, la staticità degli eventi, vedere che le cose anche con l’impegno, non cambiano.
16. Se potessi parlare per un’ora con una persona qualsiasi, viva o morta che sia, chi sceglieresti e cosa gli chiederesti?
Sceglierei di parlare con mio padre, per chiedergli scusa, perché proprio mentre lui viveva i suoi ultimi giorni, inconsapevole, io ero troppo preso da me stesso perfino per rivolgergli la parola. Teso e triste per un amore appena terminato e non ho avuto nemmeno il tempo di chiacchierare con lui per questo ora ho solo dei ricordi dal retrogusto amaro. Gli mostrerei Vera e i bambini, che lui non ha mai conosciuto. Mi basterebbe incrociare per l’ultima volta il suo sguardo che valeva più di tante parole di approvazione.
17. Pensi che il mondo possa essere salvato? Cosa deve fare ogni singolo individuo per poter contribuire alla sua sopravvivenza?
E’una domanda a cui posso dare una risposta strettamente personale. Non credo ci sia una ricetta per salvare il mondo. Il mondo si salverà da solo malgrado noi. Noi lo abbiamo solo incasinato. In realtà noi dobbiamo cercare di salvare la nostra vita su questo pianeta. Per farlo necessitiamo sempre più di vivere a contatto con il nostro pianeta riconoscerne le stagioni, capirlo aiutarlo e rispettarlo. Vivere in maniera più ecologica.
18. Una frase o citazione che ti rappresenta?
La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza. L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.
Albert Einstein
19. Quali sono le qualità che un uomo deve avere per poter realizzarsi sul lavoro oggi, secondo te?
Darò una risposta molto secca. Coerenza, professionalità e specializzazione. Stiamo vivendo un cambiamento epocale siamo cresciuti secondo stereotipi che, ahimè, si sono rivelati completamente sbagliati. Non c’è meno lavoro, semplicemente il lavoro è cambiato, anche per i professionisti, non c’è più il garantismo di un tempo. Nulla è dovuto. Oggi se vuoi lavorare devi essere bravo e sul pezzo sempre ed esistono minimi margini di errore e maggiori responsabilità derivanti dagli errori del passato. Il vantaggio è che esistono più strumenti, molto più accessibili di un tempo, per migliorare la qualità del lavoro, renderlo più snello e veloce.
20. Su Internet ho letto questa frase “Una volta sono riuscito a comprendere cosa diceva un ingegnere, ma poi per una settimana non capivo più cosa diceva la gente normale” Cosa ne pensi? È vero che siete persone complicate da capire?
La frase mi fa sorridere. Siamo una specie a parte… nata sotto il segno della sfiga. Si dice che l’ingegnere pensi cento ore per lavorare una. A volte mi capita di essere così assorto nei miei pensieri da escludere il resto del mondo ed è forse in quei momenti che risulta complicato capire cosa stia facendo. Provo a fare un esempio. Un giorno qualcuno inventò la ruota. Una invenzione perfetta, ma con qualche difetto legato al rotolamento. Prima dell’invenzione del freno qualche ingegnere primordiale avrebbe potuto provare a migliorare l’invenzione creando la ruota quadrata per impedire il rotolamento poi in preda al successo lo stesso avrebbe migliorato con l’upgrade triangolare per ridurre i sobbalzi durante la rotazione. Ora… ma non avevo nulla di diverso a cui pensare?
21. Come ti immagino tra 20 anni?
Fra 20 anni mi vedo sul davanzale di una finestra immaginaria affacciato insieme Vera, che spero abbia avuto la forza di continuare a camminare con me, a guardare i miei figli. Incuriosito dalla strada che avranno intrapreso sperando di non averli condizionati in qualche modo nelle scelte nei 19 anni precedenti… lavorativamente, sempre negli stessi casini litigando con qualche architetto per le scelte estetiche contrarie ad ogni legge della fisica conosciuta…in più sarò un vecchio rompicoglioni…
22. I tuoi consigli per un matrimonio felice?
il rispetto del proprio partner. É un concetto molto esteso che trascende anche quello di amore! Il rispetto nei momenti più difficili permette di evitare errori banali che però sono il principio della fine di tanti rapporti apparentemente perfetti. È necessario avere la volontà di superare insieme gli ostacoli che la vita pone. Ogni giorno è necessario alimentare quella fiammella che a volte si trasforma in un fuoco caldo altre volte in un incendio da spegnere. Io e Vera a volte facciamo scintille litighiamo così tanto da far tremare i muri di casa, con sadismo riusciamo ad offenderci in maniera chirurgica perché sappiamo esattamente dove colpire. Eppure alla fine di tutto facciamo pace. Perché rimane sempre la nostra necessità primaria. Io senza lei sarei un portatore di handicap. Ci sono periodi in cui per motivi diversi ci si dimentica di essere una coppia perseguendo obiettivi comuni, ma è importante fare in modo che la coppia rimanga l’esigenza primaria perché dopo tutti i problemi affrontati, quando i figli saranno volati via, si rischia di rimanere soli come due sconosciuti, invecchiati e resi diversi dalla stessa vita e se non ci si è guardati dentro nel frattempo si rischia di perdere tutto.
23. Un tuo sogno ricorrente?
Avevo sogni ricorrenti da bambino, sognavo di volare e di cadere e di rimanere da solo mentre tutti si allontanavano. Oggi non ho più sogni ricorrenti. Forse sono davvero diventato grande, molti dei miei sogni più segreti si sono avverati e li ho davanti tutti i giorni.
24. Un luogo che hai nel cuore ed un luogo che vorresti poter vedere un giorno
Vorrei tornare in Argentina, in particolare ad El Calafate vicino al Lago Argentino, quello del perito Moreno un posto in cui 10 anni fa il tempo sembrava essersi fermato. Paesaggi meravigliosi e natura quasi incontaminata.
25. Tra gli argomenti di cui mi hai scritto voler parlare hai inserito anche le vacche e la loro cacca… E allora eccoti accontentato… È stato fatto recentemente uno studio che sembrerebbe dimostrare che il Mycobacterium Vaccae presente nella cacca di mucca induce certi neuroni a liberare grandi quantità di serotonina, che aumenta benessere e migliora l’umore. Secondo molti questo batterio farebbe diventare anche più intelligenti. Quindi può essere realmente vero che “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”?
Dovrei allora essere un genio. Il mio percorso è stato sempre cosparso di cacche metaforiche e non…qua e là, da scartare e il più delle volte ho finito col pestarle. Aggiungerei anche “che fortuna!”. Poi se vogliamo, il mio stesso cognome farebbe evincere una origine non propriamente piacevole. Credo, però che maggiore è la quantità di concime più bello e rigoglioso é il Fiore…
credits: a special thank for the help to graphic designers beatrice bressi and Enrico Usberti
© 2019 All rights reserved
Made with ❤ with Elementor
Lascia una recensione